venerdì 29 maggio 2015

Il panico da sinossi

Hai finito. Il tuo librino/libro/romanzo/capolavoro nonché possibile ciofeca (perché tieni in considerazione la possibilità che il prodotto finale del tuo lavoro sia una ciofeca) è terminato e sei pronto a diffonderlo. Mandarlo a un editore. Autopubblicarlo. Sottoporlo all'attenzione di un un agente letterario. Farlo rivedere da un editor. Ci siamo. Ti manca giusto giusto quel piccolo, piccolissimo, quasi inutile pezzettino.
La sinossi.
E il panico si impossessa di te.


Ora, una persona che scrive, che scrive anche quando non scrive (vedi: nella sua mente, mentre fa altre cose), non dovrebbe aver problemi a fare una sinossi. La trama, per la pupazza. Sarai in grado di raccontare di cosa parla il tuo libro?
Di riassumere la sua storia?
Di intrigare l'editore/lettore/agente?
Di stimolare la fantasia?
Di dire senza dire troppo?
Di presentare realmente il testo che hai scritto?
Di toccare i tasti giusti?
Di non toccare i tasti sbagliati?
Di indirizzare le persone appropriate al libro appropriato?

Io non sono in grado, evidentemente. Mi sembra di scrivere delle tali barbosità da non riuscire a coinvolgere nessuno.
Perché? Cosa c'è di sbagliato nella mia capacità sinottica? 

Facciamo, dunque, un riassunto, dice M. a Monica. In fondo Monica, con i riassunti, è sempre stata brava. Sintetica al punto giusto, in grado di catturare i concetti importanti.

Riassunto fatto. Ma è un riassunto. Non è una sinossi-che-dovrebbe-invogliare-a-leggere.

M., a questo punto, dice a Monica di levarsi da tre passi e di lasciarle fare il suo lavoro. Ma non è in grado neppure lei. Perché in quella trama, in quel tot di parole che non deve/vuole eccedere, deve scriverci tanto. Deve dire tutto, e niente. Perché se dice tuttotutto non è più divertente scoprire il libro, ma se dice nienteniente nessuno capirà di cosa diavolo parla, il libro.

Siamo al punto di partenza. 


Sono andata a cercare sul web cosa si intende con sinossi e ho trovato varie risposte. Dal "compendio o riassunto di un'opera letteraria che permette di avere sott'occhio le sue parti essenziali" di Wikipedia, al "compendio di un'opera estesa che la riassume e ne pone per così dire sott'occhio le cose principali" di Etimo (non molto diverse, nevvero?).
Nessun aiuto, chiaramente. 
Facendo ricerca su "come scrivere una sinossi" del piffero, avrei aggiunto io presa dallo sconforto, ho trovato un sacco di consigli ma... niente da fare. Il blocco non accenna ad abbandonarmi.
Ed è un blocco che mi fa arrabbiare perché ne ho scritte tre, di sinossi, per lo stesso librino/libro/romanzo/capolavoro nonché possibile ciofeca e non me ne piace una.

Come ne vengo fuori?

M., talmente in crisi-da-battitura-sinossi da aver deciso di pubblicare un articolo nonostante un altro fosse pronto al lancio da settimane.

Che fastidio. 

lunedì 25 maggio 2015

L'intolleranza letteraria

Cari, splendidi e illuminati emmelettori.
Venerdì. Venerdì? Mmm... venerdì.
Facciamo così: il venerdì è il giorno ufficiale in cui pubblico, però posso postare roba anche negli altri giorni... andando un po' a caso. Eh, eh? Che dite? 

Diversi mesi fa, presa da un impeto di nervosismo che non sapevo come sfogare, ho scritto un post sull'intolleranza letteraria che non mi sono mai decisa a pubblicare. A suo modo era eccessivo e fastidioso, caratteristiche che non gradisco affatto. Ciò che conteneva, però, aveva spunti di riflessione interessanti e opinioni che mi appartengono sempre e comunque, quindi ho scelto di riportarvelo tale e quale a come l'ho scritto. 

L'intolleranza letteraria non mi piace. 
Leggi romanzi rosa? Perdindirindina, hai smesso di andare a scuola in quinta elementare? 
No, io questi libri, di così poco spessore, proprio non li leggo. Mi nutro di Premio Strega, non di sottigliezze di questo genere!
Fantascienza distopica? Santa madre, come puoi chiamarla fantascienza distopica dopo aver letto 1984 e Fahrenheit 451? Dai, sii sincero, non li hai mai letti!
Twilight un libro di vampiri? Ti sei mai trovato tra le mani Carmilla?

Vi è mai capitato di parlare con persone che hanno questo punto di vista sul mondo letterario? A me per fortuna non troppo, ma da quando ho un blog, da quando scrivo ebook sono incappata in discorsi che mi fanno arricciare il naso. A partire dalle recensioni su Amazon, recensioni scritte per romanzi rosa che già dalla copertina urlano "sono simpatico, leggero, divertente! Non comprarmi se vuoi una storia in stile Il dolore perfetto", il cui commento assomiglia a questo: Sì, carino, leggerino, ma niente di che. Storielline per adolescenti. Poca trama. Sempre le stesse caratteristiche. Romanzetto senza pretese.
Dai, vuoi farmi credere che non lo sapevi? Che lo hai comprato ignaro/a di ciò che ci avresti trovato dentro? Non se la beve nessuno. La domanda è: perché hai sentito il bisogno di scriverlo? Se leggo un romanzo storico, ed è pieno di storia, se a ogni pagina mi racconta i movimenti di un battaglione, se nomina re e regine, se inserisce dinastie che non conosco, non mi lamento. Un romanzo storico questo deve fare. Un romanzo rosa, soprattutto se ironico, di amore e divertimento deve parlare. Ma forse, se lo spessore non è alto, si sente il bisogno di ricordare che di solito si legge altro e che siamo incappati per sbaglio in un "romanzetto senza pretese".
Gli adolescenti di oggi si sentono in colpa se leggono certi romanzi perché sono considerati l'antitesi della letteratura e finiscono per non leggere niente. Niente. Certo, se si appassionassero a Manzoni sin dal primo incontro sarebbe uno spettacolo ma... siamo sinceri, chi di voi l'ha fatto? Per me I Promessi sposi sono diventati un bel libro a vent'anni, non a quattordici. Sì, è vero, la passione dovrebbe nascere con Stevenson o Doyle, ma se non fosse? Se a quattordici anni, incastrato in un corpo che ti sembra alieno con una mente che corre lontana, tu avessi bisogno di leggere qualcosa di tangibile? E se poi, con il tempo, il tangibile non ti sembrasse più abbastanza e avessi bisogno di impazzire tra le pagine di Hemingway o Hesse, non sarebbe magico?
Io leggo romanzi rosa. Io leggo fantascienza distopica. Io leggo fantasy. Io leggo Orwell, Calvino, Voltaire, Bulgakov, Ibsen, Bandello. Leggo Manfredi, Simmons, Shakespeare. Leggo i grandi classici, leggo la narrativa contemporanea, leggo romanzi storici. Leggo tutto, tranne i gialli e i thriller. Se escludiamo Hellen Fielding, Anne Rice e J.K. Rowling, i primi libri "tangibili" li ho letti a ventitré anni. Non perché non li ritenessi all'altezza (ma di cosa, poi?) ma perché non sapevo che oltre Euripide, Austen, Coelho, Diderot, Baricco, Balzac, Brecht e compagnia bella ci fosse altro. 
L'intolleranza narrativa non mi piace. E vi dirò di più. Non solo non mi piace, ma non la capisco nemmeno. Qualche settimana fa sono entrata in libreria con D. e degli amici, e dietro uno scaffale c'era una ragazza che parlava di Luciano Canfora come se fosse l'unico autore degno di essere considerato tale. Bene, la tipa, appoggiata su degli strani zoccoli con tacco stratosferico, diceva al ragazzo, che probabilmente avrebbe anche comprato l'intero negozio pur di farla star zitta: "No, tu che ne pensi? No davvero, di Canfora, che dici? Che opinioni hai? Cioè, secondo te..." 
Cosa vuoi che ne pensi di Canfora un venticinquenne alle 11 di sabato sera mentre inganna il tempo prima di andare a ballare? Nemmeno Canfora penserebbe niente di se stesso con la bistecca ancora sullo stomaco, il vino in circolo e te che fai domande a raffica neanche fossi una mitragliatrice narrativa. 
Io, che di Canfora ne ho fin sopra i capelli, e di cui non ricordo assolutamente niente, ho girato i tacchi e sono andata nel settore fantascienza/fantasy. 
Sì, avete ragione, così sono intollerante anch'io. Scusate. 

Beh, sapete che vi dico? Io spero che la gente legga. Che legga. Che legga qualunque cosa e non che non si vergogni di dire cosa legge. Perché lo sappiamo tutti che leggere apre la mente, che regala un lessico infinito, che stimola la fantasia, che fa cambiare idea, che permette di riflettere su se stessi e sul mondo, che fa crescere.
Che legga, l'umanità. Se qualcuno la guarda dall'alto in basso, o se la puzza sotto il suo naso diventa troppo pungente, che si finga stupida, l'umanità. Se si ha a che fare "intolleranti letterari" non si farà altro che compiacerli.
M.

venerdì 22 maggio 2015

La mia scrivania


L'estate arriva. Ah, meraviglia delle meraviglie. Se non consideriamo che la pressione precipita in modo sconsiderato - tanto che alle volte chi me la prova è convinto che il marchingegno che usa non funzioni - l'estate è la stagione più bella di tutte. Mangi ancora più tardi perché c'è la luce, guardi i tramonti, vai al mare, esci di più con gli amici, sei allegro. Ah, l'estate. Meraviglia.

Peccato che questo fine settimana torni l'autunno. Perché ovviamente è il fine settimana, e per quale sciocca ragione il fine settimana dovrebbe essere bello? No, meglio che il sole che spacca le pietre ci affascini fino al mercoledì/giovedì facendoci sognare, e ci saluti il venerdì facendoci mugugnare e borbottare.

Ma non siamo qui per decantare una stagione, né per lamentarci di un'altra. Oggi siamo qui, o almeno io sono qui, per parlarvi della mia scrivania. 

Non è poi così strana come cosa. 

Ho pensato che avrei potuto mostrarvi quella di qualcun altro. O che avrei potuto ripulirla e ordinarla. Ho anche pensato che avrei potuto evitare del tutto di farvela vedere però... evidentemente ho scelto un'altra strada. La scrivania che vedete in foto è la mia. Ah, ah! Incasinata come sempre, senza nessuna correzione fotografica. Accettato il carinissimo invito di Lisa, ho deciso di fare anch'io un meme. Il suo lo trovate su De agostibus. Il mio, qui sotto.

Di cosa ho bisogno quando scrivo?






1. Word, dunque il laptop. Posso scrivere anche su carta e dispositivi più piccoli quali tablet (se me lo prestano, dato che non ne ho uno) e cellulari, ma non così tanto, e di sicuro non romanzi interi. Dal pc posso accedere a qualunque cosa. Dizionari online (Treccani mi piace a dismisura), immagini di luoghi e protagonisti, finestre qua e là che danno risposte a domande non pronunciate, musica. 


2. Occhiali. Posso farne a meno quando esco ma se scrivo, leggo, guardo la tv o voglio riconoscere la gente, sono indispensabili. Se non li ho mi stanco dopo dieci minuti e mando in pappa tutto. Non riesco a scrivere senza e credo siano un'estensione del mio corpo.


3. Acqua, perché mi viene sete subito. Cerco di lasciare il cibo lontano anni luce ma ogni tanto la Nutella e i biscotti mi fanno compagnia. Terribbbbile.


4. Post-it. Mi appunto qualunque cosa, e appunto come capita. Quaderni, giornali, scontrini, biglietti da visita. Avere i post-it a portata di mano rende le cose più semplici.


5. Casse o cuffie pronte all'uso. La musica mi serve. Mi dà la carica, mi spinge, mi permette di immaginare, mi fa immedesimare. Mi fa ballettare. Quindi sì alle casse se sono sola, sì alle cuffie se c'è bisogno.


6. Un guanto. Uno solo, per la mano destra, quella che nella rilettura rimane sul mouse. Sono troppo freddolosa per farne a meno. Ah, è bucato. 


7. Quaderni vari dove registrare amenità e non. Per esempio parole che mi piacciono, verbi da usare al posto di "dire", nomi dei personaggi, possibili titoli del libro, cose da rivedere. 


8. Cianfrusaglie. Non mi servono ma mi piacciono. Penne, righelli, fogliettini, grappette... non me ne faccio di niente, veramente, anche perché non stampo più le cose che scrivo. I miei superfighissimi occhiali mi permettono grandi prodezze visive pure dal monitor del pc. 



Eccola qua. Banale? No, dai. 

La verità è che quando scrivo non ho bisogno di molto. Mi servono il laptop e word. O un quaderno e una penna. O il memo del cellulare. Tutto il resto è un contorno di cui non ho vera necessità. Certo, quando sono qui, nel mio spazio, le idee sembrano uscire più velocemente. Ma non posso dire che non mi succeda altrove. O che non sarei in grado di buttare giù qualcosa anche alla stazione degli autobus. 

Però avere la propria scrivania è un'altra cosa, lo so.



E le vostre? Dai dai, vogliamo sapere/vedere! 

M. 

P.s.- ho litigato con Blogger. Si vede? 

martedì 19 maggio 2015

The 100

Lo so. Vi dico che posterò di venerdì e poi me ne vengo fuori con un "articolo" di martedì. Non è che non voglia prestar fede a ciò che annuncio, però se avessi pubblicato ciò che leggerete sotto quando programmato, sarei arrivata tardi. Oggi è il giorno giusto, e tra poco scoprirete perché. 

Sono un'appassionata di serie tv. Trovo che siano spesso più avvincenti dei film. Quelli che mi piacciono davvero non sono poi così tanti perché il genere che preferisco inizia ad andare seriamente di moda solo adesso. Sto parlando di fantascienza e fantasy (ma non solo). Il cinema europeo, il poco cinema non italiano che arriva nelle nostre sale, raramente mi convince. Di quello nostrano escludo così tante categorie da non poterlo considerare più di tanto. Non sono un'esperta, quindi prendete le mie parole con le pinze. 


I telefilm, invece, mi danno grandi soddisfazioni. Non riesco a guardarli tutti nei tempi prestabiliti, sono sempre indietro di qualche puntata, ma li seguo. 
Il motivo per cui oggi intendo parlarvi di serie tv, di una in particolare, è perché ritengo che per una persona che ha voglia di usare la fantasia sia naturale seguirle e farsi ingurgitare dalle loro trame. E dunque, eccoci qui.
Quella di cui voglio parlare è... tat-ta-tàààà! The 100.


Novantasette anni fa, una guerra nucleare distrusse la Terra, decimando la civiltà. Gli unici a sopravvivere furono gli abitanti delle 12 stazioni spaziali internazionali che si trovavano in orbita in quel momento. Tre generazioni dopo, le risorse si stanno esaurendo, presagendo la fine della colonia, nota come Ark. Nel tentativo di risolvere la crisi prima che sia troppo tardi, i capi inviano un gruppo di cento prigionieri minorenni sulla superficie terrestre per verificarne l’abitabilità. Alle prese con un mondo che non conoscono, primitivo, pericoloso e pieno di misteri, questi giovani devono imparare a superare le differenze e avviare una nuova era per la Terra.
Ora, devo spiegarvi una cosa. Io e D. l'abbiamo trovata per caso e, dato che entrambi amiamo la fantascienza, ci siamo fermati a guardarla. Posso dire che è stato un colpo di fulmine. Se vi piace il genere catastrofico, se apprezzate che i protagonisti non siano delle piaghe sovrumane che si preoccupano troppo del prossimo, fa per voi.
La cosa che mi ha colpito più di tutte è stata la totale mancanza di buonismo. Viene fatto quello che deve essere fatto, in barba a tutte le preoccupazioni, sia dai grandi che dai piccini. E qui arriva un altro punto a suo favore, almeno secondo me. Nelle prime tre puntate della prima serie sono stata stregata dal fatto che i personaggi fossero dei ragazzini. Ora, capiamoci bene, non è che vi ritroverete a guardare Gossip Girl o roba simile. Si tratta comunque di un telefilm ambientato in una realtà post-atomica in cui l'unico intento è sopravvivere, a tutto e a tutti. Ma proprio per questo, vedere che chi deve fare le scelte non è il classico 30/40enne che sa, che ci tiene al mondo, che vuole essere buono, ma dei criminali diciottenni che per la prima volta nella loro vita vivono davvero, è tutta un'altra storia. Se questa era la cosa che mi aveva spinta più di tutte a continuare a seguirla (cosa che invece non è successa con The walking dead), l'evoluzione che hanno i protagonisti e la storia mi hanno fatto impazzire. Dopo le prime puntate i cattivi rimangono cattivi, ma i buoni diventano cattivi, le ragazzette diventano donne e tutti diventano dei geni del male.
Colpiti in modo non indifferente da questa prima serie abbiamo aspettato la seconda, convinti che sarebbe stata trasmessa su Premium in aprile. Così non è stato, e ce la siamo guardata in lingua originale. Senza spoilerare niente, vi dico che nella seconda gli adolescenti non hanno più niente di adolescenziale (ma questo succede già dalla metà della prima) e che la storia si farà ancora più elettrizzante. Non c'è mai una puntata di stallo, mai una puntata noiosa in cui non succede niente. Funziona alla grande dall'inizio alla fine. 
Fino ad ora non c'è nulla che non mi è piaciuto. Anche i personaggi da odiare sono belli, perché umani. Bastardi, certo, ma umani, quindi non così irritanti. E poi sono molti, e questo fa vedere la storia, la stessa storia, gli stessi, o quasi, eventi, da più punti di vista, la qual cosa rende praticamente impossibile odiare chi se lo merita. 

 
Mi piace. Mi piace che sia diversa, che non ci sia la bontà d'animo o le paturnie esistenziali che invece erano presenti in serie quali Lost o la già citata The walking dead. Riflettono, non dico che facciano tutto a caso. E non uccidono senza pensare. Forse ci pensano poco, ma ci pensano, e poi fanno l'unica scelta che possono fare.  
Stasera la daranno in chiaro su Italia 1 alle 23.10. Approfittatene.  
Non vi fermate al trailer. Non vi fermate alla prima puntata. Non vi fermate proprio.
Non dico che sia la serie del secolo (credo che il primato sia di Game of Thrones) ma è veramente carina.

Qualcuno di voi la vede/l'ha vista/la vedrà?

M. 

venerdì 15 maggio 2015

Il decalogo dell'esordiente-autopubblicante

Prima di arrivare a questo punto, cioè prima dell'autopubblicazione e della quantità di copie di Innamorarsi ai tempi della crisi che mai e poi mai avrei pensato di vendere (ero convinta che non avrei superato le 30. Arrivata a 625 ero convinta che non avrei superato le 626, e così via), ignoravo molto del mondo dell'editoria. Continuo a ignorare molto, direi tutto, ma in questi dieci mesi qualcosa l'ho imparata e voglio diffondere la mia conoscenza (uhm) perché sappiate a cosa andate incontro. Parlo, ovviamente, da esordiente, quindi non so assolutamente niente. 
Nel mio caso la scelta del self publishing è stata dettata dalla struttura anomala della mia opera (ope...che?). Non ho pensato nemmeno per un istante che una casa editrice potesse essere interessata a un libro con poca trama, nessuna descrizione e troppi dialoghi quale Innamorarsi ai tempi della crisi. Sapevo, e so, quanto fosse... strano. Tuttavia, avevo voglia di farlo leggere alla gente. Avevo voglia di raccontare una ragazza non comune che vive una bella storia d'amore. Avevo voglia di raccontare la storia che io avrei voluto leggere. E così ho fatto. Non solo l'ho raccontata, ma l'ho pure resa pubblica. Se tornassi indietro lo rifarei, perché se sono riuscita ad andare oltre è grazie a questa scelta.


Le regoline che trovate qui sotto non sono regole in stricto sensu. Non ci sono spiegazioni sul perché ho scelto una piattaforma di self piuttosto che un'altra, sulla spesa e il guadagno, sugli aspetti tecnici. Sono solo consigli, idee, opinioni maturate che ho voglia di condividere con voi, mie emmosi lettori.

1.  Pubblicare o non pubblicare non ti rende una persona diversa. Si limita, semplicemente, ad accrescere la tua ansia. Perché fino a quando nessuno ti legge puoi pensare di essere un genio incompreso, puoi assicurarti che il mondo non sa cosa si perde e puoi autocommiserarti convincendoti di essere un autore di bestsellers, ma nel momento in cui metti i tuoi scritti in piazza, sei fregato. Se non sai scrivere, se non conosci la grammatica, se la tua storia non sa di niente, se è uguale a tutte le altre, se sembri un bambino di prima elementare, se hai un pessimo stile, chi più ne ha più ne metta, lo vedranno tutti, e te lo diranno. E tu dovrai fare i conti con la realtà, spesso per niente simpatica.

2.   Sii pronto alle critiche costruttive e ancor di più a quelle che vorranno solo massacrarti. Se il tuo libro girerà, venderà, e se venderà nessuno ti salverà dal massacro della recensione. Non parlo delle blogger che leggono libri per passione e ne parlano per condividere punti di vista. Quelle saranno le recensioni costruttive che, anche se dolorose, ti aiuteranno a migliorare. Io parlo di quelle che distruggono senza che sia possibile capire in cosa il testo abbia reso l'utente così insoddisfatto. Ho letto commenti terribili per libri universalmente riconosciuti meravigliosi, alcuni dei quali si domandavano addirittura come avesse fatto una casa editrice a pubblicare un testo di quel genere. Infilati dentro un'arancia e usa la sua scorza come armatura ma mi raccomando, non farti spremere da nessuno. Non si può piacere a tutti.


3.    Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Se appartieni alla schiera dei tonti, come me, attento a ciò che condividi e soprattutto a coloro con i quali condividi, perché farsi fregare è facile come prendere il virus del raffreddore in un asilo il 10 di gennaio. L'operosità dietro le quinte ha una discreta forza e colpisce quando meno te lo aspetti.

4.    Se il primo libro non ha funzionato, fatti delle domande. Potresti aver sbagliato il marketing, il titolo, la copertina. Ma potresti anche aver sbagliato storia. O stile. Se tutto ciò non ti interessa, va' avanti per la tua strada, se invece ti riempie di dubbi fermati a pensare. La storia era buona? Hai fatto pubblicità per il target giusto? Se hai scritto un fantascienza vecchio stile e indirizzi la tua promozione verso undicenni che guardano Violetta, hai già la tua risposta.

5.    Usa i social network. Con me non funzionano affatto, ma temo che dipenda dalla mia inattitudine alla socializzazione con sconosciuti e alla mia stupida timidezza, quindi non faccio testo. Si dice che questi dispositivi di comunicazione in tempo reale funzionino alla grande e se sai usarli, sono sicura che otterrai ciò che vuoi ottenere, cioè una forma di notorietà. La pubblicità a pagamento è sicuramente un sistema da sfruttare che la sottoscritta non ha ancora avuto il coraggio di sperimentare. 

6.   Contatta un editor. Se pensi che il tuo testo non sia come dovrebbe essere, che potrebbero esserci degli errori. Se la grammatica italiana non è il tuo forte. Se hai dei dubbi sullo sviluppo della trama. Se non hai nessun amico che ti fa da beta reader. Contatta un editor e fatti dare una mano. La forma è troppo importante. Rovinare un bel libro per una pessima consecutio temporum non ha senso.

7.   Se il tuo stile è quello, e ti piace quello, non cambiarlo. Cambia solo se la trasformazione viene da dentro, se è un tuo bisogno, non se ti viene richiesto. Ma se in molti ti dicono che non funziona, sii consapevole che è il tuo stile e che potrebbe non piacere a nessuno. Se vuoi condividere, se vuoi vendere, rifletti sul tuo modus operandi. Altrimenti, fregatene e va' avanti.  

8.    Ringrazia le lit-blogger. Anche se il tuo libro non gli è piaciuto il fatto che ricevano il tuo testo, lo pubblicizzino, lo leggano e lo recensiscano è degno di omaggi floreali e inni primaverili. Segui i loro blog, scopri se il tuo genere potrebbe piacergli o meno (il discorso sulla fantascienza e Violetta vale sempre e comunque), contattale con gentilezza e ringraziale. Se si dimenticano di te, se il tuo libro rimane sospeso perché ne hanno troppi, fa niente. Su dieci che contatterai ce ne saranno almeno tre che accetteranno. 

9.   Conosci altri autori. Confrontati. Segui blog di persone che, come te, scrivono. Parlare con gente che ha la passione per la scrittura apre scenari inaspettati. Ci si consiglia, ci si scopre, si cresce. Supera, se ci riesci, la timidezza e scambia opinioni, addentrati nel tuo stesso mondo in punta di piedi, ma fermati per un po' da qualche parte e conosci cosa c'è dietro le pagine che tu per primo leggi.

10.   Leggi. Perché si sa che senza leggere non si va da nessuna parte, a maggior ragione se siamo esordienti-autopubblicanti e non abbiamo nessun supporto alle spalle. La cosa che più di tutte ti aiuterà a migliorare è leggere. Leggere superficialmente, ma ancor meglio leggere con la giusta attenzione. Soffermati su costruzioni sintattiche particolari, rileggi i dialoghi particolarmente riusciti, analizza le parole che mai avresti usato e che invece funzionano alla perfezione, studia la tecnica narrativa. Non cambiare stile e non copiare, ma eleva ciò che fai imparando dagli altri.  


Forse con il punto numero 5 non vi sono stata molto di aiuto, visto che non l'ho sperimentato fino in fondo e che non l'ho usato come avrei dovuto, ma confido nella sua efficienza. Per il punto numero 7: non cambierei la mia Dafne con nessuno al mondo, ma ora, dopo dieci mesi, so che il suo continuo mugugnare per molti è un problema. Se dovessi riscrivere la storia la rifarei tale e quale, e lei avrebbe le stesse, esatte caratteristiche. Ma devo accettare che il suo carattere è molto particolare ed è giusto che alcuni non lo amino. In fondo, sono io che ho voluto a tutti i costi renderla atipica e si sa, l'atipicità non sempre risulta gradevole. 

Però, però, però. Dopo queste dieci regoline voglio ricordare a te, esordiente del ciuffolo come me, che puoi fregartene di tutto e continuare a fare quello che hai sempre fatto. Potrebbe non essere tanto male.

Vi viene in mente qualche altra regola? Condividete, cari! :) 

M. 

venerdì 8 maggio 2015

L'Assoluto niente, oppure, Tontolosità

Cari emmetesori,
oggi tontoleggio. Sì sì, avete capito bene. Ho intenzione di tontoleggiare parlando dell'assoluto niente con concatenamenti fortuiti al mio essere tonta.

Sapete perché non faccio Instagram? Perché nelle foto faccio 'chifo. Va bene. Sono orribile. Contenti? Forse non è che sono orribile nelle foto, forse sono orribile io e basta, nella vita, però nelle foto proprio non mi ci riconosco. Che io sia un mostro nella realtà non sembra comportare problemi di grosso spessore - a parte quelle mattine in cui mi sveglio e vorrei cambiarmi tutti i connotati perché mi sento grassa e brutta come pochi esseri umani possono esserlo e non capisco come sopravvivere all'orrore che mi trovo davanti - ma nelle foto non lo tollero proprio. Ho l'impressione che la persona che vedo ritratta sia qualcuno che non sono io e mi manda al manicomio. Essendo terribilmente, terribilmente, ma che dico?, terribilmente vanitosa, non posso proprio sopportare di vedere una me diversa da quella che trovo ogni giorno allo specchio - e nelle vetrine, negli specchietti delle macchine, nei finestrini, insomma, in tutte le superfici che riflettono qualcosa, comprese le pozze -.

Sapete perché non faccio Twitter? Ah bene, perché io non lo so. Potrei rispondervi, in ordine di importanza e sincerità, che non ho la più pallida idea di come funzioni e che mi stressa molto studiarne il meccanismo, che non ho abbastanza tempo da dedicargli - ho una vita privata, un lavoro, una casa, scrivo libri (ma quanto sono egocentrica?), leggo libri, ho un blog e una pagina Facebook. Voi riuscite anche ad avere Twitter? Vi preeeegooo, ditemi come fate! Ammettete il vostro vampirismo, o la vostra dipendenza da droghe sconosciute. - e che... mi sono persa. Questo inciso tra le linee mi ha confuso.

Sapete perché semino pochi commenti nel web? Questa la sapete. Dipende dal mio essere tonta. Non so che scrivere perché tutte le cose che mi passano per la testa mi sembrano delle idiozie. Se scovo la cosa giusta da dire la riverso fuori in tre parole che capisco solo io. Se decido di scriverla comunque ci infilo dentro un punto, una virgola o una parola che non mi piace e mi trasformo in una squinternata che vuole recuperare al danno fatto. 

Sapete perché ho un blog? Questa è la più facile: perché adoro scrivere. E quante cose riesco a scrivere senza dire niente di concreto, ve ne siete accorti? Ho un blog perché delle mie assurdità non posso parlare mentre racconto la storia di qualcun altro in un libro. Per parlare delle mie assurdità ho bisogno di uno spazio tutto mio, da qui, il blog. Il mio meraviglioso blog. Il mio meraviglioso mondo.
Raccontare i libri che leggo, le stupide situazioni in cui incappo, le astrusità che combino o penso, i dubbi sullo scrivere... è il mio mondo.  

Il ragionamento che ho appena fatto è, ovviamente, collegato all'essere una scribacchina/scrivente, insomma, è collegato all'essere M.
Tutto ciò, infatti, non ha niente a che fare con Monica (ops!). Tutto ciò ha a che fare con M. A Monica, a questo punto, con queste consapevolezze, queste esperienze e questa vita, non interessano i social network. M., però, in quanto autrice, sarebbe un po' stupida se non gli stesse dietro. Dato che sono la stessa persona non possono fare a meno di porsi delle domande sull'essere o non essere social. Al momento hanno scelto di non essere troppo social, di fermarsi a Fb e al Blog, e hanno voluto spiegarvi il perché.
Ve l'ho voluto spiegare. 'Sto sdoppiamento di personalità mi sta snervando. 

Sapete che faccio ora, una volta riemersa dallo sdoppiamento? Smetto di straziarvi e vado al lavoro. Poi, di ritorno, inizierò a tormentarmi per la prova costume. Dopo essere riuscita a non prendere nemmeno mezzo chilo durante l'inverno - ok, l'ho preso ma poi l'ho riperso - permettendo al mio corpo, una M, di entrare nel piumino, una S in cui mi sono voluta infilare a tutti i costi e in cui ho intenzione di rientrare per i prossimi anni a venire, adesso arriva il tormento estivo. Perché non sono una S, per la pupazza. Sono una cavolo di M, pure lì. E le M in costume ci stanno bene se sono fatte come un'anfora, se vanno in palestra e se bevono il tè verde, non se sono un palo, se odiano fare sport e se mangiano la Nutella a cucchiai. 
Umpf.

Tontolosamente, la vostra M. 

lunedì 4 maggio 2015

L'emmealfabeto

Appena letto mi sono presa una cotta. Poi l'ho riletto, l'ho commentato e la cotta è aumentata. Parlo di questo delizioso alfabeto, un'idea scovata sul bel blog Anima di carta. Le sue origini sono a loro volta scovabili nel suo post.
Non ho resistito alla tentazione e all'invito e quindi eccolo qua, l'alfabeto di M., chiamato Emmealfabeto per egocentrismo, sindrome da cui sono affetta a causa del blog. 
Credo che abbia contagiato numerose persone (l'alfabeto, ma anche l'egocentrismo-da-blog) e ne ha avuto tutto il diritto. Il problema è che per farlo mi ci è voluto un sacco perché non appena finivo di scrivere una lettera squillava il telefono, o dovevo uscire, e chi più ne ha più ne metta. E poi, lo ammetto, avevo altri post in programma. Me colpevole. Sigh. 
Ma ce l'ho fatta. Yuppidu. 


A come Anonimato
Finirà, prima o poi. Sto giocando a Nascondino e tra poco arriverà il momento in cui qualcuno urlerà "tana!" e io sarò costretta a uscire dal mio delizioso nascondiglio. E quel qualcuno sarò io stessa. Da M. mi trasformerò in... ah!

B come Buonumore
Quello che mi assale ogni volta che scrivo, che mi fa sentire più leggera anche se il resto è un casino. Anche se la stanchezza e il lavoro e le difficoltà del mondo bussano alla porta.

C come Cuore
Perché ce ne metto tanto, dentro. Perché è importante. Perché si dovrebbe scrivere per sentirsi bene, prima che per ogni altra cosa. Se poi arrivassero anche la notorietà e i soldi non saremmo certo disperati, nevvero? Era una battuta. Uhm.

D come Desiderio di mollare
Non credo se ne possa fare a meno. Quando la critica è pesante, quando non ti aspetti una reazione, quando senti di fare tanto e di ricevere poco. Che siano sensazioni vere oppure no, ogni tanto vorrei lasciare tutto e tornare al prima. Solo ogni tanto, però.

E come Elenco
Non sono una che fa scalette, ma di elenchi ne produco a volontà. Elenchi dei nomi dei personaggi, delle sviste da correggere, delle cose da riguardare, delle idee che mi sembrano geniali (uhm) e che potrei dimenticare.

F come Fantasia
Ne ho in abbondanza, a volte pure troppa, e non mi farebbe male distrubuirne un po' alla gente. Un grembiule bianco con le galette rosa, codine e un cesto tra le mani in cui dono fantasia alla gente sotto forma di liquido, in bottigliette dai mille colori, imbellettate da un nastrino rosa. Gli adulti ne hanno bisogno. Andrebbe distribuita la mattina al bar insieme al caffè, ma dovrebbe essere fantasia serena, leggera, positiva. Non malsana e distruttiva.

G come Gioco
Scrivere è una forma di gioco. Un passatempo. Un hobby. Spero di trovare sempre il modo di ritagliarmi un po' di tempo libero per farlo. Per incantarmi.

H come...
Aiuto. Non lo so. Come Hotel? Come Hostel? La famosa fantasia... bleah.
 
I come Idee
Talvolta mi assalgono quando meno me lo aspetto, mentre faccio tutt'altro, mentre sono al supermercato e la gente fa la spesa, o mi passa avanti, o mi chiede di passargli una busta. Altre volte arrivano mentre le cerco, mentre mi impegno affinché venga fuori una scena o una storia. Idee che non vedo l'ora di buttare per iscritto.

L come Logica
Che non funziona. Mi siedo a tavolino, ragiono con me stessa e finisco per fare una scelta che ritengo logica e che in poco tempo scopro essere illogica. O semplicemente contraria al web-marketing. Come quella di "postare" di venerdì. E di pubblicare il post di lunedì perché il fine settimana ero fuori. Boh.

M come M.
L'abbiamo già detto. L'ho già detto. Sono fiera di M. tanto quanto James lo è del suo Bond. Il suo nome è Bond, James Bond. Il mio è M., M., M. Fino a quando qualcuno non griderà "tana!".

N come Nutella
Sì, riconosco di essere colpevole. Ogni tanto, mentre scrivo, sento questa necessità impellente che mi guida verso il barattolo. Il barattolo è poi guidato verso il cucchiaino e insieme torniamo al laptop e ci rimettiamo al lavoro. Indispensabile quanto la musica.

O come Ordine
Anche se mentre scrivo una storia saltello da un capitolo all'altro, anche se a volte scrivo prima il finale e poi l'inizio, anche se butto giù un dialogo o una scena che si troveranno nel mezzo, è tutto fatto con ordine. Nessuna scaletta appuntata ma una ben costruita in testa.

P come Palestra
Il periodo di Innamorarsi ai tempi della crisi, soprattutto i primissimi mesi, sono stati un ottimo ginnasio. Non saprei dire se mi hanno preparata ad hoc al resto... forse è meglio dire che non mi hanno preparata a niente, ma almeno ho un'infarinatura generale di questo simpatico/difficile mondo. 

Q come Quaderno
Dove annoto le cose. Un quaderno, un blocco e un quadernino ad anelli, sparsi tra la scrivania e il divano e pronti a riempirsi di fronte alle mie necessità. Archibugi senza i quali perderei sicuramente la guerra contro la strutturalità.

R come Ritmo
Quello della musica che ascolto e che mi dà il tempo. Tendo a sonorità rock/metal quando la storia lo richiede ma sguazzo in totale allegria nel pop quando si tratta di romance. Non sempre, non dall'inizio alla fine, ma spesso ho bisogno che mi accompagni. Più durante la stesura che nella rilettura.

S come Sintesi
Riesco a contrarre tutto in pochissime parole. Non posso nascondervi quanto mi piaccia. Ho sempre avuto questa capacità, fin dalla scuola, e l'ho trasferita anche nei miei romanzi (quante arie che mi do, eh?). Non so se agli occhi degli altri sia un bene oppure no, ma a me piace molto.

T come Tempo
Ne vorrei di più per scrivere. Vorrei darmene di più mentre stendo un copione. E invece mi faccio prendere la mano e mi sento invadere da una forza oscura che mi guida con prepotenza verso la fine. Non è vicina, non lo è nemmeno mentre la scrivo, però spinge con potenza e qualche volta rischia di rovinarmi il viaggio.

U come Unicità
A volte mi domando perché mi ostino a voler fare in modo diverso da altri, ma dura poco. Perché in pochissimi secondi ricordo qual è il mio carattere e mi accetto. Sono una web-asociale, non posso costringermi a diventare Miss Chiacchiere e Condivisioni. 
Vero? Vero? Veeeroo?

V come Verbi
Vi dirò una cosa. Io adoro il congiuntivo. Lo trovo molto più elegante dell'indicativo e soffro quando non viene usato. Sebbene capisca la naturalezza con cui esce il secondo, sebbene io stessa a volte lo lasci da parte, sebbene stia scomparendo, io lo adoro. E in generale adoro tutti i verbi. Ma questo succede perché adoro la grammatica.

Z come Zero
La M. che si è buttata il 29 luglio lo ha fatto con una montagna di lacune. Si è gettata in questo mar, dove non è poi così dolce naufragar, e ci è sguazzata. Zero erano la mia conoscenza, la mia consapevolezza e la mia preparazione. Ho imparato tutto (tutto che?) strada facendo. Sono sempre un'esordiente del ciuffolo ma adesso, da zero a dieci, potrei dire di essere a uno. 

Finito! Spero che lo troviate interessante e non troppo lungo.
Cavolo, è troppo lungo. Alla faccia della sintesi. Ci sarà una cosa che corrisponde al vero in ciò che ho scritto?
D'accordo. Non addormentatevi mentre lo leggete, nemmeno se è noioso, ok?
Grazie cari.

Emmosità.
M.