venerdì 25 settembre 2015

Falling skies

Vorrei lamentarmi dell'autunno, della gente e della mia mancanza di tempo libero ma non servirebbe a molto, mentre quello che ho da dirvi, soprattutto la postilla finale (egocentrismo a gogò), potrebbe avere una qualche forma di utilità.

In attesa che l'adoratissimo The 100 ricominci (ve ne avevo parlato qui), mi sono sollazzata qua e là con della fantascienza. L'attesa, purtroppo, pare che sarà lunga perché, se tutto va bene, i ragazzetti sperduti nella Terra post-atomica in cui uccidono un po' tutti e, perché no?, si uccidono anche tra di loro, torneranno a raccontarci la loro storia a gennaio 2016, sempre in lingua originale. Io nel frattempo mi faccio mille film personali su Bellamy e Clark - Bellarke -, i due capi che si odiano ma non si odiano poi così tanto e per cui mi sono presa una cotta nemmeno avessi quindici anni, e i possibili sviluppi. Impreco anche un pochino perché in Italia i libri da cui è tratto il telefilm non escono e una serie intera di fantascienza in inglese non credo di poterla gestire.


Per ingannare il tempo mi sono letta qualche fantascienza. Nessuno è degno di particolari note, tranne uno, la serie Lux che, sebbene destinata a un pubblico adolescenziale, si fa apprezzare per l'originalità, la simpatia/malignità del personaggio maschile e la scorrevolezza. 
Se avete voglia di passare qualche giorno addentrandovi in una bella storia che non pretende di essere altro che un fantascienza YA (young adult), - non è Orwell, vi prego di ricordarlo - è la serie che fa per voi. Questa è la trama del primo, Obsidian. Non fatevi ingannare da come è raccontato, pare Twilight e sembra molto più banale e superficiale di quello che  invece è... pur non essendo comunque Orwell. 
Katy, una book blogger diciassettenne, si è appena trasferita in un paesino soporifero del West Virginia, rassegnandosi a una noiosa vita di provincia. Noiosa finché non incrocia gli occhi verdissimi e il fisico da urlo del suo giovane vicino di casa: Daemon Black è la quintessenza della perfezione. Poi quell’incredibile visione apre bocca: arrogante, insopportabile, testardo e antipatico. Fra i due è odio a prima vista. Ma un giorno Daemon salva Katy da un’inspiegabile aggressione, bloccando il tempo con... un flusso sprigionato dalle sue mani. Sì, il ragazzo della porta accanto è un alieno. Un alieno bellissimo invischiato in una faida galattica, e ora anche Katy, senza volerlo, c’è dentro fino al collo. L’unico modo per sopravvivere è stare incollata a Daemon. Sempre che lei non lo uccida prima.
In tutto ciò vi dico che sono rimasta colpita dalla serie tv Falling Skies. Ho iniziato a vederla qualche anno fa, in estate, e mi ha conquistata. Le prime due stagioni sono state date anche da noi poi, come sempre, si è bloccato tutto e ho iniziato a guardarle in lingua originale. Ora, non so voi, ma per me guardare una serie tv di fantascienza in inglese è abbastanza impegnativo. Non si parla di cosa si è mangiato a colazione, di quanti baci Tal abbia dato a Talina o di come sia meglio vestirsi per andare a prendere un gelato. Eh no. Si parla di astronavi, motori, sistemi per eliminare gli alieni, inceppamenti di fucili, strategie militari. In breve: un lessico per niente facile. Per non farsi mancare niente, gli accenti degli attori sono discretamente impegnativi e questo non viene certo in aiuto. Ma ci sono i sottotitoli, quindi: yuppidu!
La serie, composta da 5 stagioni, è appena terminata.
Falling Skies racconta la storia dei sopravvissuti a un’invasione aliena che, nei sei mesi dopo il massiccio attacco che ha sconvolto il pianeta, cercano il modo di combattere il nemico invasore.
Al centro del racconto c’è il personaggio di Tom Mason (Noah Wyle), un professore di storia che ha perso la moglie nel corso dell’attacco. Tom si unisce al 2nd Mass, il reggimento guidato dal Capitano Weaver (Will Patton) che riunisce i sopravvissuti, insieme ai suoi figli Hal (Drew Roy) e Matt (Maxim Knight), di soli otto anni. Oltre a proteggere Hal e Matt, Tom è determinato a ritrovare Ben (Connor Jessup), il suo terzo figlio, che è stato rapito dagli alieni.
In un mondo in cui ogni giornata si trasforma in una dura lotta per la sopravvivenza, Tom Mason e i suoi figli si uniscono a civili e soldati nella guerra contro gli invasori, con la speranza di restituire un futuro all’umanità. Aiutato dalla dottoressa Anne Glass (Moon Bloodgood), medico con la quale Tom stringe un forte legame d’amicizia, e da alcuni fra i combattenti più valorosi del gruppo, Tom ci racconta l’ultima storia in cui Steven Spielberg - produttore esecutivo della serie - ci parla di alieni. Una storia in cui persone comuni si trasformano loro malgrado in eroi che rappresentano l’ultima speranza del genere umano...


Bella l'ambientazione, gli Skitters - gli alieni mutati, i Mech  - i robot - i Volm, il modo in cui si è evoluta la storia, anche se a un certo punto non ho capito perché si è evoluta in quel modo, Ben, personaggio su cui non posso dirvi molto perché rischio di spoilerare in modo esagerato, Cochise, alieno a cui è difficile non affezionarsi. 
È la storia di un mondo diverso, un mondo invaso dagli alieni, che noi seguiamo attraverso gli occhi di un padre e dei suoi tre figli, di una donna che ha perso tutto, del capo degli sciacalli e di altri personaggi secondari che aggiungono qualcosa in più alla storia.
Niente male, davvero. Peccato che in Italia non abbia avuto lo stesso seguito.

Allordunque, in attesa di ritrovare Bellarke & company e dell' esaltante ed emozionante uscita al cinema di Star Wars episodio VII, date un'occhiata a Falling Skies.

Emmosità e alienità,
M.  

P.s. - Non vi sembra strano tutto questo ciarlare di fantascienza e fantasy?  
Io vi dico una cosa, una sola. Anzi, una data.
6 ottobre.  
...
Va bene, ve ne dico un'altra. Sulla mia pagina fb c'è qualche indizio in più. 

venerdì 18 settembre 2015

La vita di uno scrittore (vero)

Vi siete mai chiesti com'è la vita di uno scrittore? Io ogni tanto sì. 
Non pensate che lo faccia perché sono una pettegola con tanto di pezzola colorata sulla testa che si affaccia alla finestra e scruta cosa succede giù nel cortile. Lo faccio perché sono una sognatrice e ogni tanto, magari nelle pause, al lavoro, quando vorrei mettere i tappi per non dover ascoltare nessuno o il broncio così da non dover fingere di amare tutti, mi deposito in un mondo alternativo in cui sono una scrittrice, possibilmente anche molto gnocca, fotogenica e amata da tutti. 


Che meraviglia.
Tra un volo pindarico e l'altro, però, mi capita di chiedermi se la scrittura, questa grande passione, questo immenso bisogno, potrebbe diventare una routine che a suo modo pesa. Vi avevo accennato, mesi fa, di aver conosciuto una ragazza (che vive in Slovacchia) che per lavoro legge libri. Ero rimasta turbata dal fatto che il suo sogno, il suo hobby, fosse diventato solo un lavoro e che avesse escluso dalla sua vita la lettura di ciò che le piace. Lei, ormai, legge solo ciò che le permette di vivere e che, neanche a dirsi, le dà la nausea. 
Se ci pensate bene, è una normale conseguenza del lavoro. Diventa una cosa quotidiana, quella che ti fa alzare dal letto il lunedì mattina dopo un fine settimana di bagordi o di relax. Quella che già la domenica sera ti fa montare il mal di stomaco. Quella che: "quanto manca alle ferie?".
Badate bene, non sto dicendo che se diventassi una scrittrice ricca e famosa non sarei contenta, che se i miei libri venissero venduti in libreria potrei desiderare di cambiare "mestiere", che se fossi apprezzata da tutti non sarei così felice, e infine, che se fossi tradotta e venduta in tutto il mondo avrei un qualche tipo di remora. Tanto per essere chiari, non sarebbe un problema nemmeno se un regista decidesse di trarre un film dalla mia storia. 
Eh, eh. 
Ok, adesso possiamo ridere tutti insieme. 
Comunque, quando non ho niente da fare, quelle rare volte in cui decido di non non impiegare il mio tempo in modo proficuo, mi domando: il lavoro dello scrittore, diventa un lavoro come gli altri? Cosa fa un autore nella vita? Come gestisce le sue giornate?  
La prima cosa che mi chiedo è se faccia o meno un altro lavoro. Scrittori dalla grande fama, nonché dalle grandi vendite, probabilmente se ne stanno in panciolle a pensare alla nuova storia, magari sorseggiandosi del tè o del vino nella loro villa in campagna, stressandosi per farsi venire un'idea o per trovare la voglia di scrivere.


Invece i piccoli? I normali? Non i piccoli piccoli, quelli come me, che si autopubblicano o che escono con piccole case editrici. Ho come la sensazione che anche nel secondo caso vivere di sola scrittura sia ardua impresa. Ma i normali? I più o meno noti, quelli che pubblicano e che hanno un discreto seguito, che scrivono libri da anni e che in alcuni casi si fanno anche tradurre all'estero. In quel caso, che tipo di vita fanno? 
Riuscire a fare un lavoro normale e a scrivere un libro ogni dodici mesi non è semplice, soprattutto se si hanno figli. L'anno scorso ho scoperto un'autrice che autopubblica e di tanto in tanto scrive romanzi brevi per una casa editrice, ha diversi figli, un lavoro abbastanza impegnativo e per tutti questi motivi scrive di notte. Impossibile, per me. Se non dormo almeno sette ore non riesco a pensare. E una persona che non pensa non è un granché.
Un'altra, una che si autopubblica e che viene pubblicata anche da grandi case editrici, ha lasciato il lavoro per vivere di scrittura. Il mio problema, in questo caso, sarebbe riuscire a raggiungere una grande casa editrice. Ah. Ahahahah. Alle volte penso sia più facile uccidere un drago, se non fosse che non oserei mai fargli del male e che vorrei solo guardare quei suoi grandi occhioni luccicosi.
Altri sono nel mondo dello showbiz e probabilmente alternano scrittura, lettura e vita pubblica. Qui, la questione da risolvere, sarebbe quella di trovare una fatina magica in grado di cancellare la mia timidezza e la mia vergogna. Ma non sarei più io, dunque è da scartare.
Venendo a noi, rimanendo in questo stato onirico dai toni sgargianti e dai colori scintillanti, se mai diventassi una vera scrittrice, potrei continuare a fare il mio lavoro e a scrivere libri? Potrei iniziare ad allevare draghi e gatti? Potrei cercare di farli diventare amici per la pelle? Oppure dovrei rinunciare al lavoro? Se così fosse, dovrei essere così ricca, ma così tanto ricca da potermi permettere un castello in Bretagna con tanto di scuderie e stalle appositamente studiate per gatti e draghi. 
...
Ho perso il filo. Ho smesso di scrivere e ho immaginato così tante follie da non riuscire a ricollegarle alla vita reale, soprattutto a questo post.

Mi piacerebbe diventare uno scrittore. Uno scrittore di quelli veri, di quelli che sono così letti e apprezzati da infischiarsene delle critiche negative. Di quelli che pubblicano un libro all'anno, tipo Stephen King. Di quelli che fanno sognare i loro figli con storie favolose e che li arricchiscono grazie alla loro fantasia, tipo J. K. Rowling. 
Vorrei diventare una scrittrice. Oh, come lo vorrei.

Ora... per cortesia, non annientate tutti i miei sogni di grandezza e gnoccheria, ok?
Grazie emmosi.

Secondo voi com'è la vita di uno scrittore famoso? Cosa fa tutto il giorno? E quanto ama quello che fa? 

Concludo invitandovi a osservare la copertina di Innamorarsi ai tempi della crisi. Avete notato qualcosa di strano? 
Avete qualche teoria in proposito?

M.  

P.s.- sapete che amo le postille. Questa vuole dirvi che le belle foto che vedete, pur non essendo opera mia, sono "casalinghe", di amiche che con Instagram sono dei portenti. 

venerdì 11 settembre 2015

Questionario di Proust


Ultimamente ho oltremodo abusato del termine "figo" e dei suoi derivati, quindi non posso iniziare questo post come avrei voluto, cioè definendo l'estate una gran figata. Dovrò in qualche modo aggirare l'ostacolo partendo da un punto di vista diverso: non posso credere che stia per finire. Tutti gli anni quando arriviamo a questo punto, mi assale una specie di panico all'idea che l'autunno con i suoi colori e la sua luce presto prenderà il posto della splendida, magnifica e unica Estate. Poi passa, mi abituo, ma i primi tempi sono una vera guerra che mi porta a negare fermamente che il 21 settembre farà il suo ingresso una delle mezze stagioni. Si può sapere chi ha detto che non esistono più?
 
In questa splendida piscina io ci tornei anche ora. Voi no?

Ma veniamo a noi. Qualche tempo fa Giulia del blog Liberamente Giulia aveva redatto il suo Questionario di Proust. Affascinata dal gioco mi son decisa a fare la stessa cosa. Si tratta di una serie di domande/curiosità su gusti e caratteristiche della persona a cui viene sottoposto. Malgrado il nome, non è stato ideato da Marcel Proust. Lui, infatti, si limitò a compilarlo alla fine dopo che un'amica glielo aveva fatto conoscere. Se volete sapere cosa rispose vi basta andare qui. Se invece vi interessa sapere cosa ho risposto io (mah...), leggete sotto. 

Il tratto principale del mio carattere
Sono solare. Me lo dicono da quando sono piccola, da quando nemmeno capivo che voleva dire.

La qualità che desidero in un uomo
La voglia di ridere e di non prendersi troppo sul serio.
La qualità che preferisco in una donna
Saper ascoltare cosa hanno da dire gli altri. Riuscire a non riversare sull'umanità un quantitativo di parole difficile da incamerare.
Quel che apprezzo di più nei miei amici
Il fatto che ci siano, sempre. 
 
Il mio principale difetto
Quanto mi arrabbio mi trasformo in una versione malefica di me stessa che confuta tutto ciò che dicono gli altri. Poi, a un certo punto, dal niente, smetto perché mi sono annoiata. 
La mia principale qualità  
Ridere? Boh. No, forse non rompere le pxxlle.
La mia occupazione preferita
Stare con le persone che amo, leggere, scrivere, guardare serie tv.

Il mio sogno di felicità.
Non fingerò: io voglio essere ricca. Ma mi accontenterei anche di avere una casa con il giardino. O con una grande terrazza. A dirla tutta... basterebbe non dover pagare il mutuo. 
Mai senza
Sognare.
Magari senza
Paranoie e timidezza.
Se fossi un animale 
Gatto o drago. Non so quale dei due mi affascini di più.  
Pittori preferiti
Botticelli.
Il paese dove vorrei vivere
Terra di Mezzo.
Asgard. Narnia. Hogwarts. La Morte Nera. Ah, era il paese? Ok, allora Italia.
Il colore che preferisco
Lilla.  
Il fiore che amo
Margherita. 
I miei autori preferiti in prosa
Italo Calvino, Valerio Massimo Manfredi.  
I miei poeti preferiti
La poesia non riesce proprio ad ammaliarmi. Tranne quella di Thomas Stearns Eliot.
I miei eroi nella finzione
Thor, Ironman e Pk. Non il Paperinik di Topolino ma Pk, Il Guardiano della Galassia. Che bellino.  

I miei musicisti preferiti 
Volbeat e Atreyu.
I miei eroi nella vita reale
Tutti. Tutti quelli che la mattina vanno avanti anche se le cose si mettono male. Tutti quelli che combattono per la felicità, la salute, la vita. Tutti. I miei eroi sono gli esseri umani che meritano di essere chiamati così. 
Quel che detesto più di tutto
La mancanza di empatia. Da lì, credo, dipende tutto.

I personaggi storici che disprezzo di più.
Gli ottenebrati dal potere. I malvagi. I folli che hanno fatto i più grandi casini.
Il dono di natura che vorrei avere
La comprensione della matematica. Perrrrchééé sono così incapace?
Stato attuale del mio animo
Agitato, come sempre.
Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza
Tutte e nessuna.
Il mio motto
Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido. - Albert Einstein 

Sono molto curiosa quindi vi ordino di rispondere al questionario perché voglio sapere cosa direte voi. Per niente autarchica, eh? D'altronde siete nel mio regno e qui, comunque vogliate rigirare la frittata, io sono la regina. Mhuahuaha. 
Uhm.
Dite che qualcuno potrebbe veramente credere che sono così stronzetta? A volte mi viene il dubbio che , qualcuno potrebbe crederlo. Glielo dite voi che non lo sono e che voglio bene a tutti? Che siete i miei emmosi e che vi lovvo a prescindere?
Potreste anche spiegargli che sono in grado di scrivere frasi sensate senza anglicismi e neologismi di mia creazione?
Grazie emmosi cari. 

Bacio.

La regina M.

venerdì 4 settembre 2015

Luca Bianchini e M. La Tonta


L'amore è innanzitutto non rompere i coglioni.
Luca Bianchini


Ne ho combinata un'altra delle mie. Il che significa che non ho fatto NIENTE.

Di cosa vado cianciando? Ve lo dico subito. Io e il mio carattere, insieme, creiamo una condizione che risulta essere un incrocio tra il NIENTE e il BIZZARRO. 
Ecco la storia.
Giovedì scorso ad Arezzo c'era Luca Bianchini (in alto la locandina dell'evento). Dopo averlo visto a Cervia (ne ho parlato qui), dopo aver comprato il suo libro e dopo averne parlato con Sab., scoprire che era nella mia città è stata una bella sorpresa. Così siamo andati. Ovviamente siamo arrivati in ritardo perché io e D. abbiamo pensato di fare una cenetta leggera, leggerissima, giusto un'insalatina... al ristorante messicano. Abbiamo incrociato Sab. salendo verso il colle mentre tentavamo di raggiungere i giardini pensili senza essere gli ultimi e ci siamo avvicinati al luogo. Lui aveva già cominciato a parlare e lo sentivamo da fuori le mura. Noi, maccertochessì, eravamo quelli che arrivano quando tutto è cominciato.
Che dire? Uno spasso. Da un argomento all'altro, padrone delle parole, della voce e del palco, simpatico, estroverso. Abbiamo riso come matti. Ha parlato di sé, della protagonista del suo nuovo libro, della gente e della scrittura tenendo inchiodato il pubblico con la sua presenza e i suoi punti di vista. Uno spettacolo.
Così, quando è arrivato il momento in cui ha iniziato a scendere le scale e si è avvicinato a noi, io ho tirato fuori dalla borsa libro e penna per farmi fare l'autografo. In quell'esatto istante è iniziata la catastrofe. Il mio cervello e il mio corpo hanno preso consapevolezza del fatto che l'avrei dovuto fermare e che avrei dovuto parlare per poter chiedere una firma. Ah. Ah, ah.
Nel frattempo uragani e trombe d'aria camuffati da esseri umani hanno riversato su di lui una notevole quantità di parole, flash e tomi tali da rendere il suo arrivo al banchino dei libri infinito - tipo cinque/dieci minuti. E in questo infinito io ho capito che non sarei riuscita a cavare un ragno da un buco. Non sarei mai riuscita a dire qualcosa. A parlare.
Eppure...  
Luca Bianchini è vicinissimo a me. A piccoli passettini, con il libro stretto al petto e la faccia da gatto di Shrek, dico: Ciao.
Ciao, fa lui. Ci segui? prosegue con la cometa di gente che forse non lo abbandona nemmeno se cerca di andare in bagno.
Non gli rispondo. Mi giro verso D. e Sab. a occhi ancora più sgranati, sperando che mi aiutino, che parlino per me, che capiscano che non sono in grado di fare assolutamente niente. Loro a forza di Dai Dai e di spinte immaginare mi invogliano a proseguire. Avete presente le mani che si alzano, scuotono l'aria e spingono le sostanze aeriformi nella vostra direzione incitandovi a compiere un'eroica impresa? Sì, proprio quelle. Intanto lui parla con tutti questi magnati del lessico e impreditori del coraggio che chiedono foto, firme, e casualità varie che io non riuscirei a generare nemmeno dopo aver mangiato 5 kg di Nutella - immagino lo zucchero come produttore di eccitazione.
Passano 5 minuti buoni e mi giro verso la ragazza che vende i libri al banchino.
Non ce la farò mai, ammetto. Non pensate che mi sia improvvisamente trasformata in una showgirl dalla parlantina facile che fa amicizia con tutti in un nanosecondo. La verità è che la conosco, e la mattina stessa avevamo parlato di lui. Carina e disponibile, mi guarda, si gira e chiama Bianchini che, gentile e premuroso, mi si avvicina. Io gli do il libro e blatero qualcosa. Credo che sia: è quello vecchio. Ma penso sia uscito: ècchi. 
Lui dice: Meglio. Come ti chiami (bambina di cinque anni travestita da ragazza adulta)?
Io, a voce bassissima: Monica.
Lui inizia a scrivere. Io sto zitta.
Silenzio.
Silenzio. Silenzio.
Mi passa il libro - con la dedica! - e arriva un enorme uomo che lo cattura per una foto. Lui mi guarda e fa: Aspetta.
Luca Bianchini dice a me, M. La Tonta, di aspettare, e io non posso far altro. Ma poi arriva una grande donna con 5.600 libri e dice: Li devi firmare tutti, eh!
Lui mi guarda ancora, quasi a voler chiedere scusa. A voler chiedere scusa a me che non gli dico niente. A me che lo fisso in silenzio. Riesco a sorridere - in questo sono brava - e lui rimane con la donna qualche secondo, poi viene da me e, evidentemente intenzionato a provare a far parlare la ragazza che pare non avere nessun problema ma che forse ne ha molti, domanda: Allora, rimani ancora? Non faccio in tempo a iniziare a pronunciare una S che la grande donna lo riacciuffa. Io, stremata, scappo.
Vorrei potervi dire che è una storia, che mi sono inventata tutto, che non c'è niente di vero, ma non è così. Di tutte le cose che volevo dire, tipo che mi piace il suo modo di scrivere, che sul palco è bravissimo, che se tutti gli scrittori fossero come lui la gente sarebbe più invogliata a leggere, non ne ho detta una. Ho continuato a stringere al petto il suo libro e a sperare che un miracolo mi rendesse improvvisamente chiacchierona e priva di qualsiasi vergogna. Missione fallita.
Avrei anche voluto dirgli che il suo libro è delizioso. 
Missione fallita, ancora una volta. 
E visto che non sono riuscita a farlo, lo dirò a voi. 


Ninella ha cinquant'anni e un grande amore, don Mimì, con cui non si è potuta sposare. Ma il destino le fa un regalo inaspettato: sua figlia si fidanza proprio con il figlio dell'uomo che ha sempre sognato, e i due ragazzi decidono di convolare a nozze. Il matrimonio di Chiara e Damiano si trasforma così in un vero e proprio evento per Polignano a Mare, paese bianco e arroccato in uno degli angoli più magici della Puglia. Gli occhi dei 287 invitati non saranno però puntati sugli sposi, ma sui loro genitori, la cui antica passione è un vulcano solo temporaneamente spento. A sorvegliare la situazione c'è comunque la futura suocera di Chiara, la "First Lady", incaricata di gestire una festa di matrimonio preparata da mesi. Ma è un attimo e la situazione può precipitare nel caos, grazie a un susseguirsi di sorprese e a una serie di personaggi esilaranti: dal testimone gay che si presenta con una finta fidanzata, al truccatore che obbliga la sposa a non commuoversi per non rovinare il make-up.
Da leggere. Perché è carino, è simpatico, è dolce, è buffo. Perché racconta una parte di Italia, perché racconta un matrimonio che potrebbe essere quello a cui siete stati invitati voi, o a cui avete partecipato, almeno una volta. Perché le pagine scorrono benissimo e portano via lo stress. 
Peccato non facciano lo stesso con la timidezza.

M. La Tonta